lunedì 18 aprile 2011

La Chanson de Roland, alla base della cultura Umanistico-Rinascimentale

Carlo Magno e Orlando

Aspra battaglia tra paladini cristiani e saraceni


Carlo magno la Spagna ha devastato,
presi i castelli, le città violate.
Ora a la guerra vuol sia posto fine.
In contro Francia la dolce, cavalca.
Il sole già verso il vespro s’inchina,
e conte Orlando ha dispiegato ai vènti
l’insegna dritta contro il cielo, a sommo
d’un poggio. In torno in torno metton campo
I Franchi. Per le smisurate valli
cavalcano i Pagani. Hanno le doppie
corazze al petto, in capo gli elmi, al fianco
spade, gli scudi al braccio e le aste adorne.
Su una vetta boscosa accovacciati
aspettan l’alba in quattrocento mila.
Buon Dio, per che non ne han sospetto i Franchi?
AOI.


Ulteriori Chanson de geste....


Berta dal gran pie, poema che ha per oggetto la madre di Carlo Magno ed è l’esaltazione della sposa perseguitata e fedele che finisce col trionfare dei suoi denigratori;
Mainet, poema sull’infanzia di Carlomagno. Mainet è diminutivo di Magno, e significa il piccolo Carlomagno;
La regina Sibilla, consacrato alla moglie di Carlomagno;
Il pellegrinaggio di Carlo Magno, che racconta un viaggio dell’Imperatore a Gerusalemme e a Costantinopoli;
Huon da Bordeaux, che si ricollega alle vicende della morte del figlio di Carlomagno.
Vengono poi le Canzoni di gesta che hanno per oggetto le battaglie sostenute dal grande Imperatore e sono:
I Sassoni, poema che esalta la spedizione di Carlomagno contro i Sassoni;
Ogier il Danese, che ci fa assistere alle lotte dell’Imperatore contro i suoi vassalli;
Il Re Luigi, frammentario, in cui si racconta la vittoria di Luigi III su i Normanni, e finalmente
La Chanson de Roland 




7 commenti:

  1. "Carlo magno la Spagna ha devastato,
    presi i castelli, le città violate.
    Ora a la guerra vuol sia posto fine."
    La Chanson de Roland, la base di partenza per gli encomi presso le corti umanistiche-rinascimentali.

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  2. I.
    Origine e sviluppo della Canzone di gesta.

    La Canzone d’Orlando appartiene a quel genere letterario che sorse nel XI e XII secolo in Francia, come esaltazione eroica delle imprese dei cavalieri di Carlomagno. Fa parte di quelle Chansons de geste che si ricollegano al Ciclo cavalleresco dei Paladini, come i Romans furono propri del Ciclo del Re Artù; ed hanno preso il loro nome dal vocabolo latino gesta o impresa, perchè furono la celebrazione dei più grandi fatti d’arme in cui si distinsero i Paladini del grande imperatore.
    Secondo le teorie letterarie più antiche le Chansons de geste sarebbero la trasformazione di antiche cantilene epiche, con le quali si esaltava il valore degli eroi e che erano cantate dai soldati in tempo di guerra, poi dagli aedi e cantastorie in tempo di pace. Così nacquero l’Iliade e i Nibelunghi, preceduti da una fioritura di brevi poemi cantati dai rapsodi, e poi raccolti insieme e rimaneggiati da poeti posteriori.
    Le imprese di Carlo Magno si prestavano bene, quanto quelle della Grecia e della Germania, ad una esaltazione eroica, tanto più che nell’VIII e IX secolo la nazione franca, appena formata, fu posta a duro cimento da un nemico politico e religioso insieme, dai Saraceni. L’unione che si formò contro il nemico comune, i timori e le speranze che la accompagnarono, favorendo lo sviluppo di un’anima sola, vibrante di una sola fede politica e religiosa, i trionfi che ne coronarono gli sforzi, erano eccellenti motivi per lo sviluppo di una poesia epica. Ora è certo che fin dal IX secolo erano stati composti in lingua romanza poemi su Carlo Martello, Carlomagno ed altri eroi delle guerre fra Cristiani e Saraceni; ma per quel processo che è caratteristico nella formazione dell’epica, gli avvenimenti si accentrano tutti intorno a Carlomagno che ne diviene l’esponente massimo.
    Secondo critici più recenti invece, come M. I. Bédier, la Canzone di gesta non sarebbe un rifacimento di più antiche cantilene epiche, ma avrebbe uno stretto rapporto con tradizioni locali, e l’origine delle varie epopee si ricollegherebbe a leggende varie sorte intorno a chiese, tombe, feste, pellegrinaggi. Così la Gesta di Guglielmo si riannoda ai santuari collocati sulla via battuta dai pellegrini da Nimes a S. Giacomo di Compostella, e la Canzone d’Orlando su quella che porta da Roncisvalle a Pamplona. Presso questi santuari, dove i cantastorie, d’accordo con il clero e i monaci, cercavano di attirare i pellegrini, nacquero nel secolo XI queste Canzoni di gesta, contemporaneamente alle Crociate.
    Fino al secolo XII le Canzoni di gesta sono scritte in versi endecasillabi, con assonanze finali; essi erano raggruppati in lasse, in media di una quindicina di versi, ed erano cantati dai jougleurs (iaculatores), da castello in castello, suscitando negli ascoltatori con il canto di episodi meravigliosi, che a noi, a tanti secoli di distanza, fanno spesso sorridere, ricordi e rievocazioni di avvenimenti di cui erano stati attori o testimoni.
    Tra le numerose Canzoni di gesta della letteratura francese, a noi interessano quelle che hanno per soggetto Carlomagno, di cui potrebbe ricostruirsi la storia attraverso le Canzoni di gesta a lui dedicate.
    [cit. Catia Righi]

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  3. Altre canzoni di gesta:
    Berta dal gran pie, poema che ha per oggetto la madre di Carlo Magno ed è l’esaltazione della sposa perseguitata e fedele che finisce col trionfare dei suoi denigratori;
    Mainet, poema sull’infanzia di Carlomagno. Mainet è diminutivo di Magno, e significa il piccolo Carlomagno;
    La regina Sibilla, consacrato alla moglie di Carlomagno;
    Il pellegrinaggio di Carlo Magno, che racconta un viaggio dell’Imperatore a Gerusalemme e a Costantinopoli;
    Huon da Bordeaux, che si ricollega alle vicende della morte del figlio di Carlomagno.
    Vengono poi le Canzoni di gesta che hanno per oggetto le battaglie sostenute dal grande Imperatore e sono:
    I Sassoni, poema che esalta la spedizione di Carlomagno contro i Sassoni;
    Ogier il Danese, che ci fa assistere alle lotte dell’Imperatore contro i suoi vassalli;
    Il Re Luigi, frammentario, in cui si racconta la vittoria di Luigi III su i Normanni, e finalmente
    La Chanson de Roland
    [cit. Catia Righi]

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  4. II.

    La «Canzone di Orlando» - Storia e leggenda.

    Non è certamente facile, ed esorbiterebbe dal nostro compito, ricercare chi sia stato il compilatore di questo Poema: nell’ultimo verso del codice di Oxford un oscuro trovero, Turold, volle lasciarci del suo nome e della sua opera una traccia, non però così certa e sicura da assicurargliene la paternità; esso poteva anche essere un semplice espositore o trascrittore. Più utile per i nostri lettori è invece conoscere quale sia il nucleo storico del poema e come abbia assunto il carattere di una vera epopea nazionale.
    Lo storico Einardo ci ha lasciato il racconto di quegli avvenimenti che poi furono nella Canzone di Orlando trasformati in epopea. Carlomagno tornava da una spedizione contro i Saraceni nel Nord della Spagna; la sua retroguardia, comandata dal conte di Bretagna, Rolando o Orlando, fu sorpresa nelle valle di Roncisvalle dai montanari baschi. Questi, abituati a combattere fra le roccie e armati alla leggera, ebbero facilmente ragione dei cavalieri impacciati nelle armi pesanti e non abituati a quel genere di imboscate. I Francesi furono così accerchiati e massacrati senza che Carlomagno potesse nè soccorrerli nè vendicarli.
    La leggenda fa invece Orlando nepote di Calomagno, ed uno dei dodici Pari di Francia: insieme con lui pone Oliviero, la sorella del quale, Alda, è fidanzata di Orlando, e l’arcivescovo Turpino con gli altri Pari di Francia e con il fiore dei combattenti francesi, in numero di 20 mila. Per dare a questa accolta di grandi cavalieri avversari degni di loro, invece che dai Baschi, la leggenda immagina che siano stati attaccati da 100 mila Saraceni, senza pensare che un tale esercito non avrebbe nemmeno potuto muoversi nelle anguste strette di Roncisvalle. E poichè non era verosimile una imboscata ed una sorpresa siffatta contro eroi così valorosi ed avveduti, si fa sorgere il tradimento, il Deus ex macchina di tutte le letterature eroiche primitive. Carlomagno, stretto un patto di tregua col re saracino Marsilio, lascia sicuro la Spagna; ma Ganellone ha preparato l’insidia per compiere con la morte di Orlando una sua personale vendetta. Ma un simile misfatto non è lasciato senza punizione, e mentre la storia dice che i Baschi rimasero impuniti, la leggenda fa tornare Carlomagno, chiamato dal suono dell’Olifante, in Spagna per sterminare i Saraceni e punire il traditore.
    [cit. Catia Righi]

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  5. III.

    Analisi della Canzone.

    Il Poema comincia nel momento preciso in cui il re saraceno Marsilio domanda la pace a Carlomagno, che aveva conquistato tutta la Spagna ad eccezione di Saragozza. Egli convoca i suoi baroni per trattare sulle condizioni, e dopo una lunga discussione a cui prendono parte Namo, Orlando, Oliviero, l’arcivescovo Turpino e Ganellone, il trattato di pace è accettato e si decide di inviare a Marsilio un ambasciatore per trattare direttamente. Orlando, Turpino, Oliviero reclamano l’onore, ma l’Imperatore sceglie Ganellone, che ubbidisce a malincuore, e mentre è in cammino, d’accordo col saracino Biancardino, prepara il tradimento. Promette infatti a Marsilio di far porre Orlando e Oliviero nella retroguardia per poterli sorprendere a Roncisvalle, insieme col fiore della cavalleria francese.
    Dopo il ritorno di Ganellone, Carlomagno parte per la Francia. Orlando appena penetrato nelle gole dei Pirenei si sente circondato dai nemici; Oliviero gli consiglia di suonare l’Olifante per chiamare Carlomagno in aiuto, ma egli, dopo avere bruscamente rifiutato tre volte, decide di combattere. Però nonostante la eroica difesa, tutti i Baroni soccombono, alla strage sopravvivono ancora Orlando, Oliviero e Turpino, ed allora Orlando, deciso finalmente a dar fiato al suo corno, suona con tale impeto, che le sue tempie si spezzano. Carlomagno sente l’appello disperato e corre in aiuto dei suoi bravi, dopo aver fatto incatenare Ganellone di cui comprende, ma troppo tardi, il tradimento. A Roncisvalle intanto soprafatti muoiono Oliviero e Turpino; Orlando vicino a morire, dopo aver tentato invano di spezzare sulle rocce la sua Durendal, ripone sotto il suo corpo la spada e l’Olifante, e muore con la testa volta verso la Spagna e tendendo al cielo il guanto della sua destra.
    Carlomagno giunto al campo, ordina di inseguire i Saraceni e di sterminarli, ottenendo che Dio rinnovi per questa gesta il miracolo di Giosuè. Rende poi gli ultimi onori ai prodi caduti e porta le spoglie di Orlando, Oliviero e Turpino ad Aix-le-Chapelle, ove annuncia la morte del suo fidanzato Orlando ad Alda, che cade morta di dolore. Si riunisce poi un consiglio per giudicare Ganellone: esso è difeso in campo chiuso da Pinalbello suo parente, contro Thierry, campione di Orlando. Pinalbello è vinto e Ganellone è condannato, convinto di tradimento dal giudizio di Dio, ad essere squartato.
    Il poema termina con un sogno di Carlomagno, in cui un angelo annunzia al vecchio re, stanco e riluttante, che si prepari ad una nuova spedizione.
    Su questa semplice trama il poeta intreccia descrizioni ed episodi di grande bellezza. Come è ridente e pittoresco il verziere ove l’Imperatore tiene consiglio, così sinistro e orrido è il luogo della battaglia; alte sono le rocce, tenebrosa la valle, cupa la notte: lontano in terra di Francia scoppia una tempesta, pare che il cielo vesta le sue nere gramaglie per la morte degli Eroi. La battaglia si sminuzza, è vero, come nell’epopea greca, in singolari duelli, ma la varietà domina l’episodio e la passione lo colorisce. Oliviero è cieco per il sangue, e, fuori di sè per la debolezza, colpisce per errore l’amico Orlando, poi si scusa, l’abbraccia e muore. L’arcivescovo Turpino, ferito a morte, conserva abbastanza forza per benedire i corpi che Orlando ha allineati avanti a sè, e quando vede Orlando abbattersi a terra, si trascina fino ad un ruscello, vi attinge acqua con l’Olifante, ma in questo pietoso officio, la vita lo abbandona, e Orlando, mosso a ricercarlo, non trova che un cadavere.
    La morte di Orlando non è meno grande e meno bella. Egli è l’unico sopravissuto: finchè ha combattuto in mezzo ai suoi è un leone per bravura e coraggio; ora è solo ed una volontà eroica trattiene la vita nelle membra sanguinanti. Non ha ferite mortali; il suo capo è rotto dal colpo insano di Oliviero, e dalla sua tempia spezzata nello sforzo disperato, per suonare l’Olifante, cola un rivolo di sangue.
    [cit. Catia Righi]

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  6. Egli si sente morire, ma prima vuole inutilmente infrangere la sua spada; poi la colloca sotto di sè e muore tutto solo e non vinto, con il volto verso il nemico e la mano al cielo. Nessuna epopea ci ha dato una scena simile per eroica grandezza.
    Caratteri veramente nuovi questi degli eroi della Canzone: essi non sono come gli eroi antichi automi e vittime del fato; Orlando e i suoi compagni invece di subire il destino, ne sono gli artefici e quasi i dominatori, perchè sono i loro caratteri che determinano i fatti. Ma su tutti domina la figura di Orlando, fatta di bravura e di orgoglio, di coraggio e di temerarietà. Mentre Orlando è bravo, Oliviero è saggio e Turpino, prete e soldato, non dimentica mai la sua doppia personalità, prega e combatte, rappacifica Orlando e Oliviero, e muore benedicendo e compiendo un’opera di pietà.
    Carlomagno è però sempre la figura centrale del poema. Egli, nato nel 778, aveva, al momento della rotta di Roncisvalle, 37 anni, però per aggiungergli maestà è rappresentato come un vecchio dalla barba bianca e fluente, dall’aspetto così venerando, che Marsilio ne ha una specie di superstizioso terrore, e crede che abbia duecento anni di età. Egli consulta i suoi Baroni, ma si riserva sempre il comando; il suo ricordo è sempre presente ai combattenti che per lui muoiono. Egli li ama di pari amore, ascolta con angoscia l’appello disperato dell’Olifante, e piange sui cadaveri dei suoi bravi. Non meno audace di loro combatte da eroe, ma negli intervalli dell’azione pensa e prevede, il suo sonno è agitato, e, unico vestigio del soprannaturale nel poema, nel sogno gli Angeli di Dio gli parlano.
    Se la Canzone d’Orlando è francese, non per questo cessa di avere importanza anche per noi, non solo perchè il bello supera i confini delle nazioni, ma perchè in Italia più che altrove, la materia delle Canzoni di gesta ha avuto grande successo. Da prima questi racconti furono diffusi in volgare italico, nella Lombardia e nel Veneto, poi nel secolo XIV se ne compilò un lavoro originale, i Reali di Francia. Alla fine del secolo XV Pulci e il Boiardo e poi l’Ariosto, e in parte anche il Tasso, continuarono a trarre dalle Canzoni di gesta argomento per le loro opere immortali, e a vedere nel cavaliere della Santa Gesta, l’ideale dell’uomo.
    Non è perciò inutile pubblicare di questa epopea una versione, che pur rispondendo ai fini scolastici, cerchi anche di essere non lontana dall’originale bellezza. La versione che diamo è dovuta alla penna di un dotto studioso, il conte Lando Passerini, tolto agli studi e alla patria proprio mentre si preparava questa nuova edizione. Essa è certamente fra le migliori versioni italiane, per la fedeltà con cui ha saputo rendere la nativa bellezza di questa lontana poesia, riuscendo a mantenere negli endecasillabi sciolti, il suono e il colorito dell’originale, e facendo rivivere senza alterarla, tutta la ingenua freschezza di questa massima epopea francese.
    [cit. Catia Righi]

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  7. . — L’AOI che divide una lassa dall’altra non è stato spiegato in modo sicuro. Fu creduto un «ad viam!» — avanti! — ma la glottologia non lo permette: fu anche supposto una invocazione pia, in relazione ad adiuvare, e fu anche fatta l’ipotesi che si tratti di un «neuma» musicale. Più semplice l’opinione accettata anche da Gastone Paris, che sia una esclamazione (aé! ahi!), che si ritrova anche come ritornello di poesie liriche. Il Raina considerava l’AOI come un grido degli ascoltatori dopo una lassa, pur notando però che il codice di Oxford, che è il solo che ce lo dia, non lo ha dopo ogni strofa. La questione quindi non è, per ora, risoluta.
    [cit. Catia Righi]

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