domenica 11 dicembre 2011

Un'analisi della Chanson de Roland


III. Un'Analisi della Chanson de Roland
Il Poema comincia nel momento preciso in cui il re saraceno Marsilio domanda la pace a Carlomagno, che aveva conquistato tutta la Spagna ad eccezione di Saragozza. Egli convoca i suoi baroni per trattare sulle condizioni, e dopo una lunga discussione a cui prendono parte Namo, Orlando, Oliviero, l’arcivescovo Turpino e Ganellone, il trattato di pace è accettato e si decide di inviare a Marsilio un ambasciatore per trattare direttamente. Orlando, Turpino, Oliviero reclamano l’onore, ma l’Imperatore sceglie Ganellone, che ubbidisce a malincuore, e mentre è in cammino, d’accordo col saracino Biancardino, prepara il tradimento. Promette infatti a Marsilio di far porre Orlando e Oliviero nella retroguardia per poterli sorprendere a Roncisvalle, insieme col fiore della cavalleria francese.



Dopo il ritorno di Ganellone, Carlomagno parte per la Francia. Orlando appena penetrato nelle gole dei Pirenei si sente circondato dai nemici; Oliviero gli consiglia di suonare l’Olifante per chiamare Carlomagno in aiuto, ma egli, dopo avere bruscamente rifiutato tre volte, decide di combattere. Però nonostante la eroica difesa, tutti i Baroni soccombono, alla strage sopravvivono ancora Orlando, Oliviero e Turpino, ed allora Orlando, deciso finalmente a dar fiato al suo corno, suona con tale impeto, che le sue tempie si spezzano. Carlomagno sente l’appello disperato e corre in aiuto dei suoi bravi, dopo aver fatto incatenare Ganellone di cui comprende, ma troppo tardi, il tradimento. A Roncisvalle intanto soprafatti muoiono Oliviero e Turpino; Orlando vicino a morire, dopo aver tentato invano di spezzare sulle rocce la sua Durendal, ripone sotto il suo corpo la spada e l’Olifante, e muore con la testa volta verso la Spagna e tendendo al cielo il guanto della sua destra.
Carlomagno giunto al campo, ordina di inseguire i Saraceni e di sterminarli, ottenendo che Dio rinnovi per questa gesta il miracolo di Giosuè. Rende poi gli ultimi onori ai prodi caduti e porta le spoglie di Orlando, Oliviero e Turpino ad Aix-le-Chapelle, ove annuncia la morte del suo fidanzato Orlando ad Alda, che cade morta di dolore. Si riunisce poi un consiglio per giudicare Ganellone: esso è difeso in campo chiuso da Pinalbello suo parente, contro Thierry, campione di Orlando. Pinalbello è vinto e Ganellone è condannato, convinto di tradimento dal giudizio di Dio, ad essere squartato.
Il poema termina con un sogno di Carlomagno, in cui un angelo annunzia al vecchio re, stanco e riluttante, che si prepari ad una nuova spedizione.
Su questa semplice trama il poeta intreccia descrizioni ed episodi di grande bellezza. Come è ridente e pittoresco il verziere ove l’Imperatore tiene consiglio, così sinistro e orrido è il luogo della battaglia; alte sono le rocce, tenebrosa la valle, cupa la notte: lontano in terra di Francia scoppia una tempesta, pare che il cielo vesta le sue nere gramaglie per la morte degli Eroi. La battaglia si sminuzza, è vero, come nell’epopea greca, in singolari duelli, ma la varietà domina l’episodio e la passione lo colorisce. Oliviero è cieco per il sangue, e, fuori di sè per la debolezza, colpisce per errore l’amico Orlando, poi si scusa, l’abbraccia e muore. L’arcivescovo Turpino, ferito a morte, conserva abbastanza forza per benedire i corpi che Orlando ha allineati avanti a sè, e quando vede Orlando abbattersi a terra, si trascina fino ad un ruscello, vi attinge acqua con l’Olifante, ma in questo pietoso officio, la vita lo abbandona, e Orlando, mosso a ricercarlo, non trova che un cadavere.



La morte di Orlando non è meno grande e meno bella. Egli è l’unico sopravvissuto: finchè ha combattuto in mezzo ai suoi è un leone per bravura e coraggio; ora è solo ed una volontà eroica trattiene la vita nelle membra sanguinanti. Non ha ferite mortali; il suo capo è rotto dal colpo insano di Oliviero, e dalla sua tempia spezzata nello sforzo disperato, per suonare l’Olifante, cola un rivolo di sangue. 

Egli si sente morire, ma prima vuole inutilmente infrangere la sua spada; poi la colloca sotto di sè e muore tutto solo e non vinto, con il volto verso il nemico e la mano al cielo. Nessuna epopea ci ha dato una scena simile per eroica grandezza.
Caratteri veramente nuovi questi degli eroi della Canzone: essi non sono come gli eroi antichi automi e vittime del fato; Orlando e i suoi compagni invece di subire il destino, ne sono gli artefici e quasi i dominatori, perchè sono i loro caratteri che determinano i fatti. Ma su tutti domina la figura di Orlando, fatta di bravura e di orgoglio, di coraggio e di temerarietà. Mentre Orlando è bravo, Oliviero è saggio e Turpino, prete e soldato, non dimentica mai la sua doppia personalità, prega e combatte, rappacifica Orlando e Oliviero, e muore benedicendo e compiendo un’opera di pietà.
Carlomagno è però sempre la figura centrale del poema. Egli, nato nel 778, aveva, al momento della rotta di Roncisvalle, 37 anni, però per aggiungergli maestà è rappresentato come un vecchio dalla barba bianca e fluente, dall’aspetto così venerando, che Marsilio ne ha una specie di superstizioso terrore, e crede che abbia duecento anni di età. Egli consulta i suoi Baroni, ma si riserva sempre il comando; il suo ricordo è sempre presente ai combattenti che per lui muoiono. Egli li ama di pari amore, ascolta con angoscia l’appello disperato dell’Olifante, e piange sui cadaveri dei suoi bravi. Non meno audace di loro combatte da eroe, ma negli intervalli dell’azione pensa e prevede, il suo sonno è agitato, e, unico vestigio del soprannaturale nel poema, nel sogno gli Angeli di Dio gli parlano.


Se la Canzone d’Orlando è francese, non per questo cessa di avere importanza anche per noi, non solo perchè il bello supera i confini delle nazioni, ma perchè in Italia più che altrove, la materia delle Canzoni di gesta ha avuto grande successo. Da prima questi racconti furono diffusi in volgare italico, nella Lombardia e nel Veneto, poi nel secolo XIV se ne compilò un lavoro originale, i Reali di Francia. Alla fine del secolo XV Pulci e il Boiardo e poi l’Ariosto, e in parte anche il Tasso, continuarono a trarre dalle Canzoni di gesta argomento per le loro opere immortali, e a vedere nel cavaliere della Santa Gesta, l’ideale dell’uomo.
Non è perciò inutile pubblicare di questa epopea una versione, che pur rispondendo ai fini scolastici, cerchi anche di essere non lontana dall’originale bellezza. La versione che diamo è dovuta alla penna di un dotto studioso, il conte Lando Passerini, tolto agli studi e alla patria proprio mentre si preparava questa nuova edizione. Essa è certamente fra le migliori versioni italiane, per la fedeltà con cui ha saputo rendere la nativa bellezza di questa lontana poesia, riuscendo a mantenere negli endecasillabi sciolti, il suono e il colorito dell’originale, e facendo rivivere senza alterarla, tutta la ingenua freschezza di questa massima epopea francese.



 — L’AOI che divide una lassa dall’altra non è stato spiegato in modo sicuro. Fu creduto un «ad viam!» — avanti! — ma la glottologia non lo permette: fu anche supposto una invocazione pia, in relazione ad adiuvare, e fu anche fatta l’ipotesi che si tratti di un «neuma» musicale. Più semplice l’opinione accettata anche da Gastone Paris, che sia una esclamazione (aé! ahi!), che si ritrova anche come ritornello di poesie liriche. Il Raina considerava l’AOI come un grido degli ascoltatori dopo una lassa, pur notando però che il codice di Oxford, che è il solo che ce lo dia, non lo ha dopo ogni strofa. La questione quindi non è, per ora, risoluta.
[cit. Catia Righi]

Nessun commento:

Posta un commento